In seguito alla diffusione della notizia che le Università di Berna e del Minnesota, a partire dal mese di Aprile 2017, hanno perfezionato e reso disponibile un nuovo test volto all’individuazione della LEMP (acronimo della parola leucoencefalomielopatia), una malattia genetica dovuta ad un mutante recessivo, il Club Italiano del Leonberger ha deciso di esprimere e rendere nota la propria posizione in merito, cercando inoltre di suggerire delle linee guida per l’allevamento di razza.

La ricerca appare interessante soprattutto perché ci permette di fare un’attenta valutazione non solo di questo specifico problema, ma anche di approfondire la riflessione sulla questione sollevata già in passato da LPN 1 e 2.

Da un punto di vista puramente scientifico, che in questo caso però viene a coincidere con il più semplice, sano ed antico buon senso, il miglior modo per evitare che si evidenzino malattie dovute a mutanti recessivi, ma in generale per preservare la salute dei nostri cani attraverso la più semplice metodologia zootecnica, è evitare la consanguineità mantenendo la biodiversità dei corredi cromosomici. Il ricorso alla consanguineità per fini selettivi è infatti riservato a popolazioni animali consistenti, laddove si possa instaurare una relazione matematico-statistica significativa. Appare dunque con una certa evidenza che, la conditio sine qua non a favore della consanguineità sia rappresentata da numeri significativi di soggetti, pertanto si tratta di una strada non percorribile nella selezione della nostra razza.

Il coefficiente di consanguineità di un soggetto (F) è la probabilità che due alleli in un locus siano identici per discendenza, ovvero provengano da un antenato comune al padre e alla madre.

Circa il 40% delle malattie genetiche è attribuibile a tratti autosomici recessivi – sono già circa 400 quelle conosciute – ma non è assolutamente fondato che la loro causa sia la consanguineità di per sé, poiché è sufficiente che due portatori di allele autosomico recessivo uguale si incontrino per determinare figli ammalati.

La nostra razza, proprio perché rappresentata da una popolazione poco numerosa, ha maggiore probabilità rispetto ad altre razze di vedere realizzati questi “incontri” non desiderati e contemporaneamente di avere problemi di consanguineità.

In relazione a quanto premesso, la prima raccomandazione che il CIL si sente di offrire a tutti gli allevatori è quella di evitare la consanguineità, allontanandosi allo stesso tempo il più possibile da ancestrali comuni (controllando tutte le generazioni disponibili), diversamente da quanto fatto soprattutto dagli anni ’80 in poi.

I test risultano, indipendentemente dalla consanguineità, un validissimo strumento atto ad evitare che si verifichino i suddetti incontri indesiderati, ma l’invito è quello di utilizzarli al meglio, anche al fine di non gravare gli allevatori di esose spese per testare i propri soggetti.

Come già accaduto in passato per la LPN 1, i cani portatori sani (D/N) non sono da considerarsi soggetti malati e, come tali, non manifesteranno mai i sintomi della malattia. Proprio in virtù di questo non dovranno essere assolutamente esclusi dalla riproduzione e ciò in linea con quanto sottolineato anche dalle due Università firmatarie della ricerca.

Infatti la loro eliminazione comporterebbe un grave impoverimento del pool genetico, con il conseguente rischio di restringere le possibili combinazioni genetiche fra le linee di sangue esistenti. L’esclusione dei soggetti D/N dalla riproduzione determinerebbe pian piano la nascita di cuccioli con un patrimonio genetico sempre più simile, favorendo così il presentarsi di altre patologie genetiche ereditarie che potrebbero avere una maggiore incidenza.

Se i cani testati dovessero risultare esenti, potranno tranquillamente essere impiegati per la riproduzione e con loro anche la relativa progenie. Ma al fine di non ridurre drasticamente la diversità genetica della razza, potranno essere utilizzati anche i cani portatori sani (D/N), purché sempre con accoppiamenti strategici tra non consanguinei e optando, in questo caso, obbligatoriamente per riproduttori N/N o figli di (N/N)×(N/N).

Il Club Italiano del Leonberger chiede quindi ai propri Soci e agli Allevatori di porsi in maniera corretta davanti a questa nuova patologia, dandole la reale importanza senza scatenare facili allarmismi o inutili paure che causerebbero danno alla nostra razza.

Sicché testiamo i nostri Leonberger, ma allo stesso tempo non dimentichiamo di studiare ancor più coscientemente ed approfonditamente i loro pedigree, in modo tale da contribuire in maniera unita al progetto di una razza sana.

Tornando all’argomento principe della discussione, il test LEMP, c’è una cosa che va detta e sottolineata: le malattie neurologiche risultano devastanti se incontrollate e se la loro incidenza sulla popolazione risulta elevata.

A quasi 10 anni dalla scoperta della LEMP, appaiono ancora poco conosciuti i casi di soggetti malati; ciò, almeno da un punto di vista empirico, evidenzia che l’incidenza della malattia è ancora piuttosto bassa e comunque, non risulta che siano stati effettuati studi di popolazione in questo senso (altra questione “calda” che sarebbe essenziale per decidere meglio cosa fare e come muoversi!). Un secondo avvertimento che il Club rivolge ancora una volta ad allevatori professionisti e non, è quello di non utilizzare a fini riproduttivi soggetti che, direttamente o indirettamente attraverso la loro prole, manifestino problemi di salute riconducibili ad una delle malattie genetiche sopra citate.

Anche se il guardarsi dalla consanguineità e la corretta pratica dei test ci allontanano in parte dai pericoli, è buona norma non ricorrere a fattrici o stalloni che abbiano presentato nel corso della loro vita problemi di deambulazione, di tremori, di respirazione o di resistenza all’esercizio fisico.

I recenti studi sulle malattie neurologiche e sui rispettivi test ci consentono di precisarne la validità, che non è assolutamente da demonizzare, a patto però che se ne faccia un uso vantaggioso mappando per esempio l’assenza di malattia conclamata attraverso i figli e la discendenza dei cani testati. Bisogna prestare comunque grande attenzione non dimenticando che, l’assenza di una malattia diagnosticabile non ci assicura circa la contemporanea assenza di una seconda, una terza e, via dicendo, malattia. Qualora il test LEMP servisse unicamente a ridurre la popolazione di soggetti fruibili per la riproduzione, ci infileremmo in una nuova pericolosa nicchia di consanguineità, che anziché essere tradizionalmente basata sui “campioni d’esposizione”, andrebbe ad incentrarsi su cani sani per una o due malattie conosciute, aumentando il rischio di vederne insorgere delle altre. L’avvertimento è quello di imparare a non utilizzare come riproduttori solo i cani che utilizzano tutti, quelli che vincono negli show o che sono esenti da una malattia in quanto già testati. Il Leonberger ha già patito questo malcostume, soprattutto dopo gli anni ’80. Impariamo invece, a conoscere e ad approfondire le cosiddette “linee di sangue” della razza; a utilizzare cani sani e belli anche se quel giorno sono arrivati secondi o terzi oppure che, molto più semplicemente, non hanno neanche gareggiato. Questi cani esistono! Ed è proprio per questo motivo che oggi le PAA appaiono sempre di più come un validissimo nonché interessantissimo strumento di selezione, addirittura da preferire o almeno per integrare i risultati di morfologia registrati alle esposizioni.

La discussione intorno ai test genetici ha sollevato accanto alla questione scientifica, anche un problema ed una riflessione riguardo la gestione e/o “commercializzazione” del problema. Un ultimo spunto di riflessione è rivolto proprio per questa ragione ai laboratori di ricerca che effettuano i test. Anziché proporre sconti per i pacchetti di analisi, non avrebbe forse più senso estendere, vista la diffusione della buona pratica di testare i cani, ad altre Università o laboratori, la possibilità di effettuare i test evitando così il fastidioso e discutibile “monopolio della salute”?

Infine, la naturale conclusione di questa riflessione riguarda proprio la possibilità di considerare i benefici che potrebbero derivare da un attento lavoro di mappatura, fruibile dagli allevatori, e che coniughi i test effettuati con i pedigree, in modo tale da mettere in correlazione i cani sani (per test o per discendenza) con i loro ancestrali, evitando contemporaneamente maggiori e progressivi livelli di consanguineità.